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mercoledì 11 settembre 2013

Il cuore rivelatore - E.A.Poe

Sul serio! Io sono nervoso, molto nervoso, e lo sono sempre stato. Ma perché pretendete che io sia pazzo? Si, è vero, la malattia ha reso più penetranti i miei sensi, ma non li ha rovinati, non li ha distrutti! Io avevo, finissimo, il senso dell'udito e ho ascoltato tutte le voci del cielo e della terra. E molte anche dell'Inferno. Come potrei esser pazzo, allora? State dunque attenti e notate con quanto giudizio e, soprattutto, con quanta calma io posso narrarvi tutt'intero il fatto.
E' impossibile stabilire in che modo quell'idea m'attraversò il cervello la prima volta. Io so solo che, una volta concepita, essa mi ossessionò giorno e notte. Un motivo preciso non c'era. La passione, ad esempio, non c’entrava per nulla. Io amavo quel buon vecchio. Egli non mi aveva mai fatto alcun male. Non mi aveva mai offeso. Io non desideravo il suo oro. Immagino che fosse il suo occhio! Sì, era quello senz'altro! Uno dei suoi occhi era simile a quello d'un avvoltoio... un occhio d'un azzurro pallido, come velato da una membrana. Quando esso cadeva su di me a guardarmi, il sangue mi s'agghiacciava nelle vene... e a poco a poco, lentamente, io mi fissai in quell’idea di togliergli la vita e di sbarazzarmi così, per sempre, di quel suo terribile occhio.
Il problema era tutto qui. Voi credete che io sia pazzo. E i pazzi non sanno davvero quel che fanno. Avreste, invece, dovuto vedermi. E vedere ancora con quanta assennatezza mi posi al lavoro, con quanta circospezione, con quale alta sapienza di commediante e, infine, con quale preveggenza!
Non ero stato mai tanto gentile col vecchio come durante tutta la settimana prima del suo assassinio. Ogni sera, verso la mezzanotte, io giravo la maniglia della sua porta e aprivo - ma piano, piano - aprivo un impercettibile spiraglio, e poi ancora... ancora... fintanto che non avevo aperto abbastanza da far entrare la mia testa, tutta, al di là della porta.
Facevo passare, allora, una lanterna cieca, la quale era perfettamente chiusa. Perfettamente chiusa, dico, tanto che non ne usciva un solo raggio di luce. Allora arrivava il momento di affacciare la testa. A vedere con quanta agilità io compivo quell'operazione, voi avreste sicuramente riso. Io muovevo la mia testa, infatti, con una estrema lentezza. Estrema, dico, affinché il sonno del vecchio non potesse per nulla venir turbato.
Trascorreva, di sicuro, un'ora intera perché potessi passarla tutta, e puntarla innanzi quel tanto che sarebbe stato sufficiente perché potessi vedere il vecchio coricato nel suo letto. Un pazzo - dite! - sarebbe stato tanto prudente?
E come io avevo messo tutt'intera la testa nella stanza, allora cominciavo - ma con cautela, con infinita cautela - cominciavo a schiudere la lanterna, ma lentamente, con esasperante lentezza, perché la sua cerniera cigolava. Ed io la schiudevo quel tanto che era sufficiente a lasciar cadere un solo e impercettibile raggio di luce - un filo - su quell'occhio da avvoltoio: e per sette volte, per sette lunghissime notti, a mezzanotte in punto, tornai dal vecchio, e sempre trovai ben chiuso quel suo occhio, in modo che mi fu impossibile, non dico compiere, ma iniziare soltanto l'opera che m'ero proposto, giacché non era quel buon vecchio a eccitare la mia ira, ma quel suo orribile, malefico occhio.
E quando faceva giorno, tutte le mattine, entravo spavaldo nella sua stanza e mi rivolgevo a lui senza nessuno scrupolo, e lo chiamavo col suo nome, mostrando la massima cordialità, e non mancavo mai di chiedergli come avesse trascorsa la sua notte. Ma dunque, non siete persuasi? Egli avrebbe dovuto esser fornito d'una sottilissima penetrazione, perché potesse sospettare che ogni notte, a mezzanotte, io ero là, da lui, e guardavo, guardavo il suo sonno.
L'ottava notte, se possibile, fui ancora più cauto delle notti precedenti, nello schiudere la sua porta. La lancetta più piccola d'un orologio si sposta più veloce, nel suo giro, di quanto non facesse, allora, la mia mano, ed io, mentre operavo, meravigliavo della mia stessa sagacia, e a malapena sapevo contenere le sensazioni che il mio trionfo m'accendeva in petto. Pensate, dunque, e cercate di vedermi, mentre ero là e schiudevo la porta, d'un millimetro appresso all'altro, e il vecchio - lui! - non nutriva alcun sospetto, né delle mie azioni, né dei segreti pensieri che affollavano il mio animo. A quell'idea non potei fare a meno di lasciarmi sfuggire un riso sommesso. Ed egli - forse - udì, poiché si rivoltò, all'improvviso, nel suo letto, come se stesse per risvegliarsi. Voi pensate ch'io, allora, mi stessi per ritrarre, vero? No certo. La tenebra che regnava nella stanza era fitta e profonda, poiché, timoroso dei ladri notturni, il vecchio chiudeva le imposte con una cura estrema, così ch'io avevo la certezza ch'egli non avrebbe potuto distinguere il varco che aprivo. E continuai ad aprire e ad allargarlo, e ancora... e ancora...
Avevo affacciata la testa ed ero sul punto di schiudere la lanterna, quando il mio pollice scivolò sul metallo della serratura, e il vecchio si drizzò sul letto. E strillò: «Chi va là?».
Io rimasi immobile, assolutamente immobile, e trattenni il respiro. Non mossi un muscolo durante un'ora e per tutto quel tempo non intesi il vecchio accennare a coricarsi nuovamente. Egli era sempre seduto sul suo letto. E ascoltava. Ascoltava come avevo ascoltato io, notti e notti, il rodio dei tarli tra parete e parete.
Un gemito sommesso mi raggiunse improvviso l'orecchio, ed era il gemito d'uno spavento mortale. Esso non testimoniava né il dolore, né la pena, ma era il suono sordo e soffocato che s'innalza dal profondo di un'anima sopraffatta dal terrore. Io conoscevo quel suono, lo conoscevo bene. Per notti e notti, a mezzanotte, mentre il mondo intero era immerso nel sonno, esso era sgorgato dal mio petto e aveva risvegliato, colla sua eco agghiacciante, i terrori che m'opprimevano. Ripeto che io lo conoscevo bene. Sapevo ciò sentiva il povero e buon vecchio, e per quanto fossi posseduto da un estremo desiderio di ridere, non potei fare a meno ch'esserne mosso a pietà. Sapevo ch'egli era restato sveglio fin dal momento in cui aveva udito il primo, lieve rumore. Egli s'era rivoltato nel letto, e nel frattempo la sua paura era andata man mano aumentando. Aveva tentato di persuadersi che non v'era, per essi, alcun motivo, ma non vi era riuscito.
Egli aveva detto tra sé: non è nulla di nulla; è il vento che soffia nel camino, è un sorcio che ha attraversato veloce l'impiantito, è soltanto un grillo, che ha emesso il suo piccolo strido. E s'era sforzato d'infondersi coraggio con simili ipotesi ma le aveva trovate tutte vane. Tutte vane, poiché la Morte che si avvicinava gli era passata dinanzi con la sua grande ombra nera, e lo aveva avviluppato in quella. Ed era soltanto il funereo influsso di quell'ombra invisibile che gli faceva sentire - anche se egli non vedeva nulla e non udiva nulla - la presenza della mia testa, in quella sua camera.
Dopo che io ebbi atteso a lungo e inutilmente ch'egli si coricasse di nuovo, mi decisi, infine, a schiudere un po' quel mio lume, ma tanto poco ch'era quasi un nulla. E lo feci fulmineamente, in modo tale che voi non sapreste nemmeno immaginarlo, un unico pallido raggio, un sottile filo di ragno, uscì dalla fessura e andò a cadere, diritto, sull'occhio d'avvoltoio.
Ed era aperto, era spalancato; e mi bastò appena guardarlo un solo istante ch'io ero già giunto al colmo dell'ira. Lo vidi perfettamente, lo vidi, quell'azzurro opaco, ricoperto dalla schifosa membrana che m'agghiacciava il midollo nelle ossa, lo vidi e non vidi null'altro all'infuori di esso dacché l'istinto aveva diretto l'unico sottil raggio del mio lume là, in quel punto dannato.
Non v'ho già detto che la pazzia di cui mi accusate altro non è se non iperacutezza dei miei sensi? Ebbene, un rumore sordo e soffocato e intermittente mi giunse all'orecchio, ed esso era simile a quello che produrrebbe un orologio che sia stato avvoltolato nella bambagia. Ed io riconobbi quel rumore. Esso scaturiva dal cuore del vecchio, e quel rumore eccitò la mia furia, al modo stesso che il rullo del tamburo esaspera il coraggio del soldato.
E tuttavia io seppi contenermi e non mi mossi, e rimasi immobile, e non osavo quasi respirare, e badavo soltanto a tener fermo quell'unico raggio del mio lume, diritto, sull'occhio d'avvoltoio. E intanto la marcia infernale del suo cuore scandiva più forti i suoi colpi, sempre più forti, diveniva precipitosa e alzava il tono, il timbro, lo alzava, lo alzava! Il terrore del vecchio doveva essere estremo! E il battito del suo cuore diveniva più forte di minuto in minuto...
Ma mi seguite, dunque, con attenzione? Vi ho detto ch'ero nervoso, terribilmente nervoso - e lo ero, infatti - ma quel rumore, nel silenzio notturno, nel pauroso silenzio notturno di quella vecchia casa, riempì il mio animo di un insopportabile terrore. E mi trattenni - certo! - mi trattenni ancora per qualche istante, e non mi mossi dal mio posto. Ma quel battito si faceva più forte, sempre più forte. Pareva che quel cuore stesse per scoppiare. E così fui posseduto da nuova angoscia.
Certo! Certo! Il rumore avrebbe potuto essere inteso da qualche vicino... No, no! L'ora del vecchio era suonata! Spalancai il mio lume tutt'intero e mi precipitai, insieme, con un urlo fortissimo, nella stanza. Il vecchio non emise un grido, non un solo grido, dico. State bene attenti? Io lo scaraventai giù dal giaciglio sull'impiantito, in un attimo solo, e gli rovesciai addosso tutto il peso del letto. Fu allora che, accortomi d'essere ormai a buon punto nella mia opera, mi lasciai andare a ridere per la gioia. E tuttavia il suo cuore continuò ancora per qualche istante a battere ma d'un battito sordo e velato. E io non ne fui allarmato. Attraverso il muro non lo avrebbe potuto udire nessuno: vacillò ancora, poi si spense del tutto. Il vecchio era morto.
Rimossi il letto ed esaminai il suo cadavere. Certo, egli era morto, morto stecchito. Posai la mia mano sul suo cuore e ve la trattenni un qualche minuto. Non s'udiva alcuna pulsazione. Egli era morto stecchito. Il suo occhio aveva cessato per sempre di tormentarmi.
Se ancora insistete a credermi pazzo, vi persuaderete del contrario quando vi avrò dato delle informazioni sulle sagge precauzioni che usai per nascondere il cadavere. La notte avanzava e io lavoravo in fretta, ma anche in silenzio. Spiccai, dapprima, dal corpo, la testa. Fu poi la volta delle braccia e delle gambe. Tolsi quindi dall'impiantito tre assi e nascosi il tutto tra i regoli. Restituii, poi, il loro luogo alle assi, e con tale destrezza e perizia che nessun occhio umano - neanche il suo - avrebbe potuto accorgersi di nulla. Non c'era nemmeno nulla da lavare, non una sola traccia di sudicio, non la minima goccia di sangue! Oh! Si, io ero stato bene accorto anche in quello! Un catino aveva raccolto prudentemente il tutto. Sarebbe stata da ridere.
Come ebbi terminato quel lavoro, l'orologio del campanile vicino batteva le quattro. Ma la tenebra era come a mezzanotte. Mentre battevano le ore, udii picchiare all'uscio di strada. Discesi per aprire, ed ero perfettamente tranquillo. Cosa potevo temere ormai? Entrarono tre uomini che si dissero ufficiali di polizia, e le loro maniere apparvero estremamente cortesi. Un vicino aveva udito gridare nella notte, e, sorto il sospetto che un qualche delitto potesse essere stato consumato nei paraggi, ne aveva informata la polizia. I tre gentiluomini erano stati, infatti, mandati a ispezionare il quartiere.
Io sorrisi: di che cosa, infatti, potevo ancora aver paura? Diedi così il benvenuto ai tre uomini, e dissi che il grido era sfuggito a me stesso, in sogno. Dissi loro che il mio vecchio amico era ancora in viaggio, e li condussi, inoltre, a visitare tutta la casa. Dissi loro di cercare e soprattutto li spronai a cercare bene. E alla fine li condussi anche nella sua camera. Mostrai loro i suoi tesori, che erano intatti e in ordine perfetto. Nell'entusiasmo che mi possedeva, presi due sedie e li supplicai di riposarsi lì, in quella stanza e, nella folle audacia del sicuro trionfo, andai a metter la mia sedia proprio sul luogo dove si trovava nascosto, tagliato in pezzi, il cadavere della mia vittima.
Le guardie parevano soddisfatte. Il mio comportamento pareva che li avesse convinti. Io, poi, mi sentivo completamente tranquillo. Sedettero, dunque, e cominciarono a parlare del più e del meno, e io rispondevo a tutto con umore eccellente... ma, a un tratto, m'accorsi che stavo impallidendo e, non so come, desiderai che se ne andassero. Cominciò a dolermi il capo, infatti, e un ronzio penetrante cominciò a infastidirmi le orecchie. E tuttavia essi restavano seduti e continuavano a chiacchierare. In quel mentre il ronzio, una sorta di tintinnio, diventò più distinto e, per non udirlo, cominciai a parlare anch'io, più che potevo, ma esso non si lasciò sopraffare e acquistò un carattere ben preciso, e dovetti riconoscere, infine, che esso non era nelle mie orecchie.
Sicuramente io diventai estremamente pallido, e mi ostinai nella conversazione e con foga sempre maggiore. Ma quel rumore aumentava di minuto in minuto. Che cosa avrei potuto fare? Esso era un rumore sordo e soffocato e intermittente, e in tutto simile a quello che produrrebbe un orologio avvoltolato nella bambagia. Io respiravo a fatica: e gli agenti? Oh, gli agenti non lo sentivano ancora. Tentai di parlare più in fretta e più forte ma quel rumore cresceva senza tregua.
Mi tolsi dalla sedia e cominciai a discorrere di futili argomenti, ma ad altissima voce e con furia, mentre il rumore cresceva, cresceva a ogni minuto. Ma perché non se ne andavano? Io misuravo, su e giù, a passi pesanti, il pavimento, esasperato da quella loro discussione, ed il rumore cresceva con regolarità, con assoluta costanza. Gran Dio; che cosa potevo fare? Mi agitavo, smaniavo, maledicevo! Scuotevo la seggiola sulla quale m'ero prima seduto, la facevo scricchiolare sull'impiantito, ma quel rumore aveva ormai sommerso tutto il resto, e cresceva e cresceva ancora, senza sosta, interminabilmente. E diventava più forte, sempre più forte, e gli uomini chiacchieravano e scherzavano e ridevano.
Ma era mai possibile che non lo udissero? Iddio onnipotente! No, no! Essi udivano, essi sospettavano, essi sapevano, eppure si divertivano allo spettacolo del mio terrore, così almeno mi parve e lo credo tuttavia. Ma ogni cosa sarebbe stata da preferirsi a quella orribile derisione. Io non mi sentivo, ormai, di sopportare oltre quelle loro ipocrite risa. Sentii che dovevo gridare o morire. E intanto, ecco - lo udite? - ecco, ascoltate! Esso si fa più forte, più forte, e ancora più forte, sempre più forte!
«Miserabili! Ipocriti!», urlai. «Non fingete oltre! Confesso ogni cosa. Ma togliete, togliete quelle tavole, scoperchiate l'impiantito! E' là. E' là sotto! E' il battito del suo terribile cuore!».

Posto questo racconto perchè è oggetto di studio per un esame che devo fare. A distanza di molti anni, riprovo le stesse emozioni di allora. Questa short story,scritta con abile maestria, è un crescente climax di ansia. Ad un certo punto arrivo a sentire i miei battiti del cuore  la cosa mi fa senso! Andiamo avanti a studiare va!

Luca

lunedì 5 agosto 2013

Le dieci cose che non ti dirò mai davanti ad una Tassoni il venerdì sera

Ci sono cose che per il senso dl pudore non credo che riuscirei a dirti neanche se bevessi cinque birre di fila. Sono tutte cose belle ma che non ti dirò perché so che le sai già.
Si parte : è un classico venerdì. Finisco il mio solito tram tram alle otto e venti della sera,anche se la stanchezza si fa sentire mangio di corsa,doccia di corsa per essere in macchina alle venti e quarantacinque ,cosa che non sempre mi riesce anche se con qualche piccolo escamotage (come prepararmi il vestire alle due del pomeriggio) mi fa guadagnare qualche minuto. Il Landini arancione sfreccia per le zone desolate della bassa con la stessa destinazione. Ci troviamo dalla Roberta come quasi sempre. Ti ricordi che è stato qui dove ci siamo conosciuti la prima volta?
Arrivasti in bicicletta,mi pare che sia verde o forse mi sbaglio. Poco importa,tanto l'ho vista solo una volta e comunque la mia memoria è almeno 10 volte meglio della tua :P .
Sono pochi anni ma da allora non c'è venerdì che tenga. Sembrano pochi mi correggo, ma il tutto sta in come e quanto uno li vive. E io di ricordi ne ho tanti. È strano sai, e questo non te l'ho mai detto, ma ogni volta che entravo in casa tua mi tornavano sempre in mente le parole di una persona che mi disse che ero la prima persona che facevi entrare in casa tua così spesso, neanche i tuoi ex compagni di basket li avevi mai fatti entrare. E per me è sempre stato un vanto che mi sono portato dentro,ero e sono tutt'ora orgoglioso di questo.
Con il lavoro che fai non si possono fare serate folli,già dormi poco e male,ma quell'ora e mezza/due vanno più che bene. Qualche chiacchiera,qualche risata,tante considerazioni su come va in italia, i tuoi " butei senza schei" e arrivano già le dieci e quarantacinque che è già l'ora di andare. Mi ricordo che il primo anno prima di andare via mi dicevi sempre grazie e io ti dicevo :"di che?",scendendo quelle maledette scale a chiocciola che per poco, in alcune occasioni, mi avresti sentito fare qualche ruzzolone fino alla porta d'entrata.
Però stasera il tempo non scorre,siamo io e te,seduti al bar e parlo solo io. Hai appena ordinato come sempre la tua cedrata,che è dolce e non disseta dall'arsura estiva. Io prendo una birra invece,ne ho bisogno dopo tutto quello che voglio dirti stasera. Il tavolino rosso è messo male quindi devo stare attento a come metto le gambe sennò,con la mia solita grazia,potrei rovesciare tutto.
Inizierei per punti,così da avere un minimo di ordine mentale, anche se ogni volta che dal vivo ci provo non seguo la scaletta e dico neanche metà di quello che mi prefiggo di dire.

1- Ti direi che non sai quanto sono felice che tu abbia fatto capolino nella mia vita. Non ti aspettavo e nemmeno mi sarei aspettato che le cose sarebbero state così belle.

2-Hai colmato un vuoto che ho sempre cercato di riempire. E la cosa più bella è che non me ne sono reso neanche conto perché siamo partiti da zero senza pretese,senza obblighi.

3- Quando,ironicamente,ti dico che fra trenta,quarant'anni ci troveremo ancora a bere i gotti di vino al bar ci spero veramente. Spero in questo cammino assieme e che sia il più longevo possibile. 

4- I punti 1,2 e 3 mi fanno paura. Adesso,il futuro mi spaventa. C'è stato questo periodo in cui tutto sembrava cambiare per te e nonostante tutto hai sempre avuto la forza per dirmi che non sarebbe cambiato niente anche se in cuor mio,sapevo che sarebbe cambiato tutto ma tu anche li mi dicevi che le cose sarebbero cambiate in meglio e che avresti avuto bisogno del mio supporto.

5-Non mi piace quando non mi rispondi,puoi dirmi che li leggi ma che non sei abituato a rispondere ma per me quel silenzio resta un punto di domanda e che poi si somma ad altri punti di domanda. MA,e questa è una delle cose che più apprezzo in te, è che se anche non mi rispondi compensi a gesti. E per me i fatti contano molto di più che delle parole anche se qualche volta una risposta la gradirei.

6-Apriti. Io e te abbiamo un carattere molto simile e so quanto possa essere pesante tenersi le cose dentro. Posso essere la tua valvola di sfogo. Tanto una risata te la strappo sempre e comunque. Vorrei che imparassi a contare un po' più di me sia nelle piccole che nelle grandi cose.

7- Fiducia. Mi hai dato prova che nutri grande fiducia in me. In questo periodo mi hai fatto carico di segreti,preoccupazioni e ansie che non hai detto quasi a nessuno. E io questo non lo dimenticherò ne ora ne mai. Se c'è fiducia ci sono le basi per andare avanti.

8-Mi piace quando mi dai le pacche sulla spalla e i buffetti! Anche se sono rari ultimamente.

9-Non cambiare,resta come sei. E se cambi tieni in mente questi punti. Sono dei buoni spunti scritto da uno che ha imparato e tutt'ora sta imparando a conoscerti. Come abbiamo detto in piscina,possiamo circondarci di tutte le persone che vuoi anche prima o dopo si arriva a dei bivi e li si vede poi chi resta o meno. E io ti prometto che resterò. Non sono uno che abbandona o se ne va.

10a-Mi viene la bile quando nomini un certo social network perché vuoi conoscere altra gente! Focalizzati sulle persone concrete che sono qua zio tram! Hai la fortuna di avere qualcuno che ci tiene veramente a te :) .

10b-Ultimo ma non meno importante. Questo inverno mi avevi avanzato la proposta di andare a Londra. Ti ricordi vero??? Beh io si! E non me lo dimentico! Sai quanto amo Londra e questa me la sono legata al dito :)

Tu non batti ciglio e io intanto mi sono scolato la mia birra. Ci salutiamo e : "Ci si vede Boss!"

Voglio un viaggio pieno di sorrisi.
Luca


lunedì 15 luglio 2013

Il professore e le palline da golf

 Un giorno un professore di filosofia mise sulla cattedra alcuni oggetti e quando la classe incominciò a zittirsi prese un grande barattolo vuoto e lo riempì di palline da golf. Chiese quindi agli studenti se il barattolo fosse pieno e questi risposero che lo era. II professore allora prese della ghiaia e la rovesciò nel barattolo lo scosse leggermente e i sassolini si posizionarono negli spazi vuoti tra le palline da golf.
Chiese di nuovo agli studenti se il barattolo fosse pieno e questi concordarono che lo era.
Il professore prese allora una scatola di sabbia e la rovesciò nel barattolo, ovviamente la sabbia si sparse ovunque all’interno. Chiese ancora una volta se il barattolo fosse pieno e gli studenti risposero con un unanime si.
Il professore estrasse quindi due bicchieri di vino da sotto la cattedra e rovesciò il loro intero contenuto nel barattolo andando cosi effettivamente a riempire gli spazi vuoti nella sabbia.
Gli studenti risero.
“Ora – disse il professore non appena la risata si fu placata – voglio che consideriate questo barattolo come la vostra vita. Le palle da golf sono le cose importanti: la vostra famiglia, i vostri bambini, la vostra salute, i vostri amici e le vostre passioni, le cose per cui, se anche tutto il resto andasse perduto, e solo queste rimanessero, la vostra vita continuerebbe ad essere piena. I sassolini sono le altre cose che hanno importanza come il vostro lavoro, la casa, la macchina.
La sabbia è tutto il resto, le piccole cose.
Se voi mettete nel barattolo la sabbia per prima non ci sarà spazio per la ghiaia e nemmeno per le palle da golf. Lo stesso vale per la vita, se spendete tutto il vostro tempo e le vostre energie dietro le piccole cose non avrete più spazio per le cose che sono importanti per voi. Prestate attenzione alle cose che sono indispensabili per la vostra felicità; giocate con i vostri bambini, godevi la famiglia e i genitori finché ci sono… portate il vostro compagno/a fuori a cena… e non solo nelle occasioni importanti! Prendetevi cura per prima delle palle da golf, le cose che contano davvero. Fissate le priorità … il resto è solo sabbia”.
Uno degli studenti alzò la mano e chiese cosa rappresentasse il vino. II professore sorrise: “Il vino serve solo per mostrarvi che per quanto piena possa sembrare la vostra vita, ci sarà sempre spazio per fare festa insieme ad un amico.”

Ho trovato questo foglio stamattina appeso dal dottore e mi è piaciuta molto. È una bella metafora di come debba essere vissuta la vita!

martedì 26 marzo 2013

Birthday,this reminds me something...




Tra un po' si avvicina il mio compleanno. Quest'anno sono 24,uno in più o uno in meno non fa differenza. Dopo i 18 sono volati, madonna mi fa strano solo a pensarci che sono già passati 6 anni. Il tempo vola!
Mi sembra ieri quando con ferrea convinzione sognavo di andare all'università aspettandomi chissà cosa poi.
Univr sei stata proprio un flop ma credo che un po' dappertutto sia così.
Poi arriva anche il lavoro,non quello dei tuoi sogni ovviamente, sempre mentre vai avanti con l'università e si fa tutto più pesante. Realizzi che il termine "gavetta" o "apprendistato" in realtà è una sorta di parola in codice che sta per " dovrai farti un culo quadrato visto che sei l'ultimo" ma se non altro pensi che la fortuna una mano te l'ha data data la situazione attuale in Italia. A volte passa il pensiero di andare all'estero ma l'idea di dovermi allontanare da quello che costruito qui finora non mi piace.
Sono 24, un'anno ad un quarto di secolo di vita. Almeno me la sto vivendo senza rimpianti dai.
Mi sono ripreso in mano e adesso se non altro vado avanti, affronto tutto con un sorriso!
I compleanni mi mettono ansia in un certo senso,non perché stia invecchiando ma perché bisogna festeggiarlo.
Sembra paradossale ma a me le feste (mie) di compleanno spaventano.È da due anni che non ne faccio una.
Ho un brutto ricordo riguardo una mia festa di compleanno, quella di prima superiore. Credo che sia una di quelle cose somatizzi col tempo che ti lascia proprio il segno, uno fra tanti. Me lo ricorderò sempre,ho invitato una ventina di persone e ci siamo trovati a festeggiare in 2. Penso sia stata una delle esperienze più umilianti che mi siano successe. Da allora sono cambiate tante cose ma questa proprio non riesco a togliermela dalla testa. Non so, mi spaventa l'idea di una caterva di rifiuti collettivi,che non è più successo fortunatamente. È per questo che molto spesso preferisco non  farla. L'ideale sarebbe ricevere una festa a sorpresa ahahahaha! Non sapere niente e trovare tutti li,sarebbe proprio fantastico, niente ansia e niente stress.L'anno scorso abbiamo festeggiato in 3 ma perché ho voluto che fosse così. L'idea di festeggiare con gli amici più cari era quello che volevo ed è stato bello comunque.
Quest'anno non so cosa ho intenzione di fare e dovrei anche iniziare a pensarci.
A volte vorrei proprio cancellare questi preconcetti che mi si sono fissati in testa perché non mi lasciano vivere come vorrei.
Ma passo dopo passo risolverò anche questa dai  :-)

Luca

Listening : The Script - This = love

lunedì 21 gennaio 2013

Emozione

L'unico sentiero che porta alla vera felicità è quello che ne esclude la ricerca. Forzare il fato è solo una mera scorciatoia che porta ad un vicolo cieco. A volte l'unica soluzione è sedersi e guardare la vita frenetica della folla di una grande città come uno spettatore estraneo ai fatti,fare una bel respiro e rimettersi in moto...perché anche tu ne fai parte.

È da un po' che non scrivo e la voglia è tanta. Tanta è la voglia di descrivere momenti e sensazioni vissuti con i miei occhi e col cuore. Un cuore di bambino che batte e sussulta nonostante tutto cambi. Cambio io,cambiano gli altri ma ci sono certi suoni,odori e sensazioni che per fortuna non cambiano,come il profumo della aria appena prima che piova in un giorno d'estate o quello dell'erba appena tagliata. Sensazioni ancestrali ma indelebili che ti danno quel senso di benessere che non riesci neanche a spiegare. 

Voglio giorni i giorni d'estate con la pioggia,l'erba tagliata e di notte perdermi a guardare le stelle e sentirmi piccolo ma lo voglio sempre che sia estate o inverno,primavera o autunno.

Voglio un sussulto,un battito irregolare.
Voglio emozione.

Luca



martedì 11 dicembre 2012

I risotti non sono il mio forte...ma le cialde al formaggio meglio lasciarle perdere!

Oggi,come ogni giorno, alle ore 11 inizia la mia classica odissea per preparare il pranzo. Avendomi dato istruzioni di preparare del riso in bianco ero tranquillo fino a quando mia sorella mi piomba in cucina e mi fa notare che ieri sera mia mamma aveva scongelato dei gamberetti. Nella mia testa,come in una semplice operazione, è balenata la fantastica idea di preparare un risottino con i gamberetti. Ore 11:10, inizia la preparazione! Parto con il classico soffritto, aggiungo i miei gamberetti e lascio che si cuociano. Segue il riso,inizialmente lo faccio mantecare e poi aggiungo il brodo di dado ( non avevo quello vegetale e neanche un fumino di pesce) mescolando il tutto con attenzione in modo tale da poter controllare costantemente la cottura e che non si attacchi. Si deve sapere che una delle mie pecche in cucina sono proprio i risotti perché o scuociono o non sanno da niente! Questa volta ero sicuro, ne sarebbe uscito un risotto con i fiocchi! Ed in effetti è stato cosi! Cottura giusta,sapeva di qualcosa, ma anche se fosse stato insipido la scusa era : "Tanto è un risotto con i gamberetti, quindi il sapore deve essere delicato per forza!" Ore 11:40 termina la cottura ed avendo a disposizione altri 20 minuti prima che l'esercito tornasse a casa per rifocillarsi decido di scavarmi la fossa in maniera raffinata : preparo anche delle cialde di grana per fare balla figura e magari per rimediare al gusto magari un po' troppo delicato per gli altri del risotto. Potevo anche fare a meno. Nell'arco di questi simpatici 20 minuti ho fatto in tutto 3 tentativi : #1 metto il grana direttamente nella padella ma non ne vuole sapere di sciogliersi ma anzi inizia pure a scurirsi quindi lo tolgo. #2 avendo guardato su internet ed avendo scoperto bisogna dare una strofinata di olio alla pentola, mi accingo al secondo tentativo e finalmente il formaggio si scioglie. Ora,il problema maggiore, bisogna staccarlo dalla pentola ma avendo una spatola troppo spessa non ci riesco e si rompe quasi subito. Tra il secondo e il terzo tentativo mi si accende la lampadina delle idee strambe. #3 : tra la padella e il grana metto un foglio di carta forno,in modo tale poterlo togliere, e sopra ne metto un'altro. Stavolta sembra andare tutto alla perfezione tolgo l'ammasso di carta e lo adagio sopra ad una scodella cosicché quando il grana si raffredda assume la forma della scodella ma non so perché,forse per il troppo olio che colava anche dopo raffreddato il formaggio non si irrigidiva. Ore 12:01, mi metto in modalità super-turbo ed impiatto il risotto normalmente. Morale di questa storia : osare si,ma non troppo!

Luca

lunedì 26 novembre 2012

A fucking job

Non c'è niente di peggio che fare qualcosa che non ti piace fare. È una settimana che la vedo proprio difficile. È come doversi alzare al mattino quando sai che fuori dalla porta ti aspetta una gelida mattina di inizio febbraio a -5. Faresti di tutto pur di startene al sicuro tra quelle quattro mura eppure ti alzi e vai consapevole di quello ti aspetta. Quello che è emerso in questi ultimi giorni è la più profonda ipocrisia che circola in un piccolo supermercato in cui 10 persone devono necessariamente prendersi a cortellate per andare avanti. Resto veramente allibito da come la gente possa andare avanti in questa maniera,non  mi capacito della scarsa maturità che hanno persone con anche più del doppio della mia età. Gavetta ormai non ha la stessa connotazione che aveva anni fa. Oggi si tratta di sfruttamento e se ti azzardi a dire una singola a ti arrivano anche i pesci in faccia con tanto di minacce. E le preferenze poi...cioè obbiettivamente so di essere bravo nel mio lavoro,ma perché devo solo subire e anche stare zitto? Mi è stato dato del permaloso ingiustamente,ma posso anche capirlo. Se la mia bocca potesse dare fiato su tutto quello che vedono i miei occhi e sentono le mie orecchie credo che ora sarei a casa da un bel pezzo. Non riesco a trovare rimedio a questa situazione anche perché io vado la per lavorare e puntualmente,almeno una volta al giorno,vengo stuzzicato a gratis e questo mi da fastidio. Ho provato a cercare in rete e come possibili rimedi ho trovato : 1- usare l'autoironia per sdrammatizzare la situazione e 2- scrivere o comunque coltivare quelle passioni che ci permettono di staccare la spina. Io ce la metto tutta ma a volte faccio fatica anche a prendere sonno.
Speriamo in tempi migliori.

Luca